martedì 20 gennaio 2009

virtù e conoscenza

Chiaccherando del più e del meno con un amico, qualche giorno fa, così, per puro caso, salta fuori Dante (nel senso di Alighieri e non di un amico comune).
Rispondo al mio amico, che per primo lo parafrasa mutuandone il linguaggio, con il richiamo di un breve passo dell'Inferno ".....fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". In realtà l'ho buttata lì, in libera associazione, senza pensarci più di tanto, ma lui prontamente mi invita alla riflessione e mi dice che forse bisognerebbere concentrarsi non tanto sul fatto che non siam fatti per vivere come bruti, ma sul significato del "seguir virtù e conoscenza".


Non posso fare a meno di ritornare con il pensiero alle vecchie reminiscenze scolastiche, un pò impolverate a volerla dir tutta, soprattutto ai filosofi dell'antica grecia ed a qualche appunto, che ho nel frattempo ritrovato, relativo ad un libro letto qualche anno fa sulla pratica filosofica (non ne ricordo per il momento autore e titolo, li aggiungerò più in la, se mi torna la memoria).

Per gli antichi greci il concetto di "virtù" era scevro dall'idea di sacrificio e mortificazione che la cultura cristiana ha dato al termine nel corso dei secoli; la virtù era la capacità di eccellere, di essere il migliore e non c'era virtù senza lotta. Virtuoso era colui che lottava, non solo contro il nemico, ma contro lo stato di bisogno, contro la necessità, contro la sorte, contro il dolore inteso non nella visione, propria del cristianesimo, come espiazione della colpa, ma nella visione tragica dell'ineluttabilità della legge di natura. E se la virtù era eccellenza e, dunque, realizzazione, uno dei segni della virtù era proprio la resistenza al dolore, la capacità di essere indomiti ed attivi di fronte ad esso.

E' propro dal dolore, dunque, che nascono due forme, non di rassegnazione, ma di resistenza allo stesso: il sapere, che consente di evitare il male evitabile e la virtù che consente, entro certi limiti , di dominare il dolore.

Da qui il concetto di saggezza: per seguire la virtù, cioè il coraggio e la forza di vivere al di la delle avversità, occorre avere la "necessaria la misura" (la saggezza), senza la quale anche la forza ed il coraggio di vivere vanno incontro alla sconfitta perchè l'uomo che vuole andare contro il proprio limite decide anche la sua fine .
L'oracolo di Delfi è la sintesi più chiara ed esplicativa del pensiero greco in merito ai concetti di conoscenza e di saggezza. “Uomo conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli dei”: è l'esortazione a conoscere i propri limiti, a non eccedere, a non offendere la divinità ponendosi alla sua pari .

Il conoscere sé stessi è il fondamento della "conoscenza", l'elemento imprescindibile e non si contrappone alla conoscenza del mondo ma ne è il presupposto: perchè non si puo' conoscere il mondo a prescindere dalla comprensione e dalla conoscenza della mente che conosce e dei suoi necessari pregiudizi.

Gli antichi greci non coltivavano speranze di immortlità o di vita ultraterrena, sfuggivano alla dimensione tragica dell'uomo attraverso il coraggio di vivere nonostante le avversità e la conoscenza prima di tutto di sè stessi, per avere il governo di sè, secondo misura: il tutto in omaggio alla bellezza della vita.

Sono passati millenni, ma io ci credo ancora.

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